giovedì 2 dicembre 2010

Parti podalici e lezioni di vita

Il tempo vola, Agostino è partito, e questo segna un po’ l’avvicinarsi del termine della mia esperienza.
Questa settimana in ospedale è stata carica di eventi, casi clinici interessanti, spesso drammatici, ma anche casi risolti con grande succeso, rispetto alla scarsità di mezzi.
Solo per fare un esempio, alcuni giorni fa si era presentata in ospedale una donna dell’etnia chachi a termine di gravidanza, con un bambino podalico. Le abbiamo spiegato che bisognava fare il cesareo, e lei ci ha guardato terrorizzata, e ha detto che non poteva assolutamente! Secondo le loro regole avrebbe dovuto chiedere il permesso alle famiglie, soprattutto alla suocera! Morale, nonostante le fosse stato spiegato che partorire a casa poteva comportare la morte del neonato (nella cultura chachi il parto non è assistito dalla partera, ma dalla madre della paziente, che non ha alcuna competenza..in pratica il bambino nasce da solo) la coppia è tornata al proprio villaggio per consultare le famiglie sul da farsi. Le famiglie hanno dato l’ok per il cesareo, ma solo quando si fossero presentati i dolori.
Peccato che al sesto figlio….aspetta i dolori, aspetta il carro che ti porta in ospedale…la piccola chachi è arrivata da noi col sederino del bimbo proprio “lì”! Irene ha assistito il parto nella baraonda generale, la signora urlava disperata (ormai nella sua mente c’era “no cesareo = bambino muore”) , i parenti fuori erano agitatissimi (e un po’ gli stava pure bene!) ma poi la bambina poi si è ripresa alla grande, nonostante il parto complicato.
Che sospiro di sollievo!

Nel susseguirsi dei giorni e del lavoro che riserva sempre grandi sorprese, c’è stato un episodio degno di essere ricordato, un episodio che porterò sempre come esempio quando parlerò di questa popolazione.
Settimana scorsa i “portinai” dell’ospedale, cioè quelli che organizzano l’accesso delle pazienti agli ambulatori, e il responsabile della manutenzione, ci hanno organizzato un pranzo a sorpresa. Hanno fatto preparare, e ci hanno servito, delle prelibatezze locali, gamberi, pesce, tutto di ottima qualità, per salutarci prima che Agostino partisse.
Da notare che il fatto che una donna sia servita da un uomo, nella cultura di qui, è una cosa molto forte. Il tutto condito dal solito sorriso con cui ci hanno accompagnato in questi due mesi. Dopo qualche battuta, qualche scherzo, uno di loro ha preso la parola e ha fatto un discorso intenso, appassionato, che non mi aspettavo.
In poche parole il succo era questo.
Con quel pranzo ci mostravano la gratitudine per quello che siamo venuti a fare qui, ringraziavano noi e tutto il progetto. Loro sanno che la loro gente, i neri, sono difficili, problematici, e forse molte delle persone che abbiamo aiutato non ci hanno neanche detto grazie.
E allora ecco che lo facevano loro, ci ringraziavano a nome del loro popolo per quello che abbiamo condiviso, e si dicevano fieri e orgogliosi di mostrarci che la gente afro è capace anche di ringraziare, che non è passato inosservato l’impegno nell’appoggiarli nelle loro necessità principali, tra cui la salute.
Spesso dei medici che vengono da fuori, nell’arrivare a San Lorenzo, si lamentano, chiedono di andare via, se ne rimangono chiusi sulle loro. Ci ringraziavano anche per esserci lasciati avvicinare, per aver accettato la situazione per quella che è, e per esserci impegnati come potevamo.
Mi sono sentita commossa, e inadeguata a un’attenzione del genere. Eppure loro erano lì a dirci grazie dandoci tutto il loro affetto, sottoforma di pranzo a base di frutti di mare.
Mi hanno dato una lezione che non dimenticherò.
In quel momento sono rimasta senza parole, e non in senso figurato. Per fortuna Agostino ha un discorso pronto per ogni occasione, ed è riuscito, pur colpito quanto me, a dire delle cose di senso compiuto che io non avrei mai saputo dire. Il succo del suo discorso è stato “pensavo di venire qui ad aiutare questa realtà, ma alla fine è più quello che ho ricevuto da voi rispetto a quello che ho dato!”
In effetti da piccoli i genitori ci insegnano “come si dice?” “Grazie!” ma poi, da grandi, non sempre ci si ricorda di questo piccolo grande insegnamento!
Credo che questo episodio sia importante non solo per noi che siamo qui, ma anche per tutte le persone che vicine o lontane partecipano a questo progetto, chi con una donazione, chi sopportando la nostra lontananza, chi mandando aiuti, chi coprendo i nostri turni, chi sostenendo irene e il suo impegno, quindi il ringraziamento passa a tutti quanti (anche se non posso portarvi quei gamberi deliziosi!)
Niente va perduto, niente passa inosservato.
Un grazie di cuore a tutti, da parte della popolazione di San Lorenzo.

domenica 28 novembre 2010

Dal letame nascono i fior.

Oggi voglio raccontare la storia di K.
K. é una “donna” di 14 anni, che vive in un villaggio che sorge lungo un fiume, nella zona dell’alto rio Santiago. Un paesino che si raggiunge dopo ore di strada dissestata nella foresta, attraverso piantagioni, foresta vergine, e foresta disboscata. Il fiume fino a pochi anni fa era cristallino, oggi é marrone torbido, a causa delle miniere d’oro che purtroppo non rispettano le leggi e inquinano l’acqua senza pietá.
In questo villaggio colpisce subito l’ordine e la pulizia, che non avevo visto in nessuno degli altri villaggi che ho visitato, e poi colpisce la presenza della natura con tutta la sua forza, il fiume, la foresta, a dir poco “prorompente”. E poi gli abitanti, che sembrano un tutt’uno con questa natura cos¡ forte, abituati a seguirme i ritmi e impossibili da immaginare senza questa vegetazione intorno.
K. é figlia di una donna di questo villaggio, il padre vive altrove. Lei é cresciuta da questo padre, che le ha fatto passare un infanzia terribile, grazie anche alla nuova moglie, ovvero la “matrigna”, che come tutte le matrigne…é cattivissima con lei.
Da bambina K. ha súbito una violenza da parte di uno zio, che ora non vede da molto tempo.
Circa un anno fa, K. si innamora di un ragazzino della sua etá. Si innamora come ci si puó innamorare a 13 anni! Torna una settimana a trovare la mamma….e quando ritorna al suo villaggio..sorpresa! il suo giovane innamorato ha giá un’altra fidanzata! Come se non bastasse il padre le comunica che ha deciso che lei si trasferirá a studiare proprio a casa di “quello” zio.
K. non regge questi due colpi e si scola due barattoli di veleno per topi.
Non sa ancora di essere gravida a 8 settimane.
Arriva all’ospedale di San Lorenzo, e grazie ai medici di pronto soccorso, tra sondini, lavaggi, flebo, e tutto quanto, viene salvata per un pelo. A questo punto si scopre la gravidanza…e le cose si complicano. K. racconta finalmente a Irene tutta la sua storia, le motivazioni del suo gesto. Irene coinvolge la madre, le fa capire che per come stanno le cose ora tocca a lei difendere sua figlia, fino alla morte. Sua madre, dall’alto dei suoi 32 anni, é fortunatamente una donna eccezionale, che si schiera da subito con la figlia, e la notizia della gravidanza non fa altro che rafforzare il loro legame. La protegge, le sta vicino, e nonostante il veleno per topi la gravidanza prosegue bene, e diventa la forza per tirare K. fuori dalla sua tragedia.
Verso il termine della gravidanza K. chiede a Irene di partorire con un taglio cesareo perché ha paura del dolore. E chi glielo avrebbe negato? Il primo TC per richiesta materna dell’ospedale di San Lorenzo.
Da questa storia emerge un’immagine degli uomini di qui che non fa loro molto onore, fortunatamente questa non é la normalitá, ma bisogna riconoscere che K. e sua mamma sono lo specchio di una societá in cui le donne sono i pilastri fondamentali, che vanno avanti con le loro forze anche quando tutto intorno crolla.
In questo villaggio abbiamo incontrato K, sua mamma, e la bambina che é nata (il destino ha voluto che fosse femmina anche lei…!) queste tre “donne”,32 anni, 14 anni, e 1 mese, una delle tante storie che transitano dall’ospedale di San Lorenzo, e che ho avuto la fortuna di reincontrare nella realtá in cui la storia continua.
Di ritorno dal villaggio, sul fuoristrada che dopo altre 4 ore ci porterá a casa, guardando le miniere, la foresta, la gente, penso a tante cose.
“dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior.”

sabato 20 novembre 2010

il mio primo recorrido


Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a maometto! Pressappoco questo è il concetto del “recorrido”! Per le comunità che non possono raggiungere l’ospedale (inaccessibilità geografica, costi di trasporto insostenibili) l’ospedale organizza uscite mensili di gruppetti di medico+infermiera (a volte solo infermiera o ausiliaria) per occuparsi di tutte le necessità sanitarie della comunità che viene visitata. Questo serve anche per non perdere nessun dato di quello che succede sul terriorio, visto che in ogni uscita si fa anche un censimento di ogni villaggio, una relazione sulle patologie principali, per poi poter avviare dei progetti indirizzati nel modo corretto.
Per farla breve, siam partiti in 4, io con un ecografo portatile in valigia e l’occorrente per occuparmi della parte ostetrico-ginecologica (e con molti dubbi in testa!...mi consolava il fatto che l'alternativa per queste pazienti era non fare neanche questo controllo..quindi più di tanti danni non potevo fare!) un altro medico che avrebbe fatto la tutto il resto, un’infermiera dell’ospedale che spesso lavora nella comunità in cui saremmo andati, e un’infermiera del vicariato (organismo che gestisce e finanzia questa rete assistenziale, e organizza la raccolta dati e la parte epidemiologica). Già dal primo giorno l’impatto è stato abbastanza strong per me che sono abituata a mille comodità.
La parte assistenziale e la parte avventurosa mi sono piaciute un sacco.
Ho visitato tantissime donne, attirate anche da questa novità dell’ecografia, che speravano di trovare delle risposte ai loro mille malesseri, tante al decimo-dodicesimo figlio, molte che non sapevano dirmi la propria data di nascita ma solo l’età approssimativa. All’inizio mi sono trovata a chiedermi, mezza impanicata, “e mo’ che faccio!?” Tipo con un materasso pulcioso come lettino e due assi di legno da usare come tavolo e nient’altro!… poi pian piano ho tirato fuori le cose che mi servivano e in qualche modo tutto ha iniziato a funzionare. I limiti dell’assistenza sono tantissimi, niente esami, niente strumenti, solo le mani, la vista, e la memoria! Mi chiedevo anche spesso che senso avesse riempirli di farmaci antibiotici-antiparassitari ecc, se tanto le condizioni igieniche li avrebbero fatti reinfettare il giorno dopo.
Eppure è stato bello immergersi in questo mondo fatto di pochi mezzi e pochissime aspettative da parte delle pazienti, per toccare con mano l’importanza del rapporto medico-paziente, riscoprire la bellezza di ascoltare i racconti delle donne, che condividono le piccole e grandi difficoltà di tutti i giorni. Spesso le difficoltà che troviamo sul lavoro, la burocrazia, i ritmi, per quanti mi riguarda, ci fanno un po’ perdere l’entusiasmo per il nostro lavoro, le motivazioni che ci hanno portato a sceglierlo, e pensiamo a come finire il prima possibile, e che nessuno ci rompa le scatole. In un ambulatorio spoglio e con quattro strumenti in croce, ascoltando e dialogando, lontano da tutto, tante cose riaffiorano con forza.
Mi sono poi  resa conto di quanto sia importante conoscere la realtà in cui vivono i pazienti, anche per sapere che consigli dare. A milano non mi sognerei mai di dire “mi raccomando, eviti di lavare i panni stando troppe ore a mollo nel fiume!”
Le storie di vita da raccontare sarebbero troppe, anche questo viene rimandato a milano!!
Come dicevo, la parte “avventurosa” è stata divertente, tipo attraversare il fiume in piedi su una zattera (sembra facile!!) o prendere al volo una specie di camion che trasporta mucchi di persone tenendosi forte per non cadere giù, o visitare le pazienti in un soppalco a cui si accede solo con una scala a pioli!

L’aspetto invece dell’adattamento alle condizioni di vita mi è costato molta fatica. Devo riconoscere che per chi come me è abituato al benessere, certe resistenze sono difficili da superare.
La famiglia che ci ha ospitato ci ha messo a disposizione una stanza in casa loro….spostando le bambine a dormire con loro. Ammirevole….e interessante scoprire la quotidianità di queste famiglie, le piccole abitudini, degli scorci di vita che noi mai vedremmo ...l'uomo che torna a casa a cavallo col machete appeso alla cintura, le donne e le bambine che lavano i panni sedute nel fiume, i bambini mezzi nudi che corrono e nessuno si preoccupa se cadono o si sporcano i piedi.......eppure cenare con non so quante formiche sul tavolo, topi che corrono in cucina, galline che camminano sotto il tavolo, ragnatele….quanta fatica per non avere una crisi isterica! e poi i topi anche in camera! Quando mi han fatto vedere dove lavarmi ho pensato “adesso io mi metto qui, sto qui ferma 5 minuti, faccio sciaf sciaf con l’acqua, così pensano che mi sono lavata, e poi rientro!” poi invece ce l’ho fatta!! Non credo di aver dato a vedere le mie perplessità, anche per non offendere chi mi stava ospitando, ed è stato interessante condividere le condizioni di vita della gente del posto. L'altra scena-panico è stata a tavola "scusate...ma quest'acqua da dove viene?" e i miei compagni di avventura ridendo "tranquilla, viene da un fiume qui vicino che è pulito! e poi è acqua e limone...il limone fa passare la diarrea!"!!!!!!! E bevendo ho pensato "ecco...ci siamo....è così che ci si ammala"! Del resto non c'era altra acqua....ho preferito il rischio delle infezioni(che almeno si possono curare!) alla disidratazione!
Insomma, l’esperienza è stata forte e ha lasciato delle belle sensazioni, molte ancora da riordinare, ho avuto la fortuna di viverla con un equipe molto molto simpatica, con cui è stato bello convivere, e con cui anche nei momenti di sconforto chiacchierare e farsi una risata rendeva tutto più facile, e allentava la mia tensione di fronte a tutti i veicoli di infezione che vedevo tutto intorno a me!!
Vedere le condizioni di vita delle comunità è inoltre un elemento fondamentale per capire come far funzionare l'ospedale di san lorenzo, perchè da dentro la routine dell'ospedale non si percepisce l'importanza di essere il punto di riferimento di tutte queste persone, che non hanno accesso a nient'altro.
Ora che sono tornata a San Lorenzo, la casa di irene mi sembra una reggia, con tutte le comodità di questo mondo, e non oso pensare a quando rivedrò casa mia!
Carico qui un po’ di foto di questi 4 giorni:
Un abbraccio a tutti!
elisa

lunedì 15 novembre 2010

giorno dopo giorno

Come era prevedibile, succedono molte più cose di quante riesca a scriverne regolarmente, e così cerco di fermarne giusto qualcuna, visto che nei prossimi giorni ne succederanno moltissime altre, e rischierò di perdermi in tutte queste esperienze, se non faccio un po' di ordine e metto giù qualche pensiero!
Innanzitutto ho compiuto gli anni. Per la prima volta lontano da casa! La giornata è stata condita da un po' di nostalgia, ma appena irene è tornata da esmeraldas mi ha fatto tornare l'entusiasmo con una piccola festa a sorpresa con un po' di gente dell'ospedale che ci ha raggiunto a casa dopocena! già questo mi ha riempito di allegria, e mi ha fatto di nuovo sentire "a casa" anche se in modo diverso. Ma la vera festa è stata venerdì sera! Venerdi era il compleanno di agostino quindi abbiamo fatto una doppia festa, in grande, sempre al mitico karaoke (che sembra il divertimento più apprezzato qui, soprattutto per l'alcol che circola tra una canzone e l'altra!) inutile dire che è stato davvero emozionante, persone che fino a 40 giorni fa non conoscevo, e che hanno condiviso con sincero divertimento il mio compleanno, balli interminabili (ormai la mia passione per i balli latinoamericani è dichiarata!) il direttore che dopo mezza bottiglia di whisky monopolizza il microfono e la pista da ballo, e tutto quello che può rendere divertente una festa! Tutti i partecipanti sono stati molto contenti della serata e questo mi ha reso davvero felice!

Il giorno successivo, stanchi morti per le ore piccole della sera prima, tornando dall'ospedale ci sentiamo chiamare da una casa...ed ecco il direttore che ci invita a entrare in casa sua per condividere un momento di "cazzeggio" con la sua famiglia e i suoi amici: un gruppetto di colombiani che stavano cantando e suonando fisarmonica, tamburo, chitarra, e proponendo il repertorio dei loro brani tradizionali! E' stato un momento abbastanza surreale, ma molto divertente e caratteristico, uno scorcio di vita familiare in cui lui era molto felice e orgoglioso di mostrarci la sua cultura, le sue tradizioni.

Altra gag della giornata...le suore in ospedale mi avevano chiesto di cucinare il risotto per insegnargli...e sono rimaste allibite che il "risotto" non si cucinasse con la busta del risotto pronto knorr, che hanno loro! Continuavano a dirmi, mentre soffriggevo la cipolla, "e questa busta (il risotto pronto) a che punto si aggiunge?"!!! gli ingredienti erano moooolto carenti rispetto a quelli che avrei dovuto usare,e in italia sarebbe stato un risotto immangiabile, ma qui era delizioso!!

L'ultimo aneddoto che vi racconto è molto più che surreale. La domenica pomeriggio, dopo l'ospedale, ho accompagnato un padre missionario che andava in un villaggio nella foresta a dire messa, visto che in quella zona non c'ero ancora stata. Ci siamo messi in viaggio su una "camioneta" io, il padre, e due signore di san lorenzo. Durante la messa mi sono accorta che c'era una famiglia vestita a lutto, e le due sciure che erano con me mi hanno spiegato che era la "novena", cioè nove giorni dalla morte di un uomo sulla sessantina, e la novena è in pratica la cerimonia in cui si chiude il lutto,e lo spirito del defunto può finalmente raggiungere l'aldilà. Finita la messa, io mi dirigo verso la camioneta pensando di tornare a casa, invece mi dicono che dobbiamo passare dalla casa della vedova per salutare. Ci addentriamo nel villaggio, entriamo nella casa e....mi trovo in una sorta di veglia funebre, con una cinquantina di donne che pregano davanti a una specie di finta bara ( il monumento al defunto), gente che va, gente che viene, gente che chiacchiera, gente che prega, e in mezzo un tavolo apparecchiato per 4. Sentendomi un po' di troppo (non conoscevo nessuno, e nessuno conosceva me!) cerco di posizionarmi nel posto più defilato della stanza, e tutte mi dicono "no no, doctora, aqui!!" ...a parte che come fate a sapere chi sono.....comunque, mi hanno fatto sedere a uno dei 4 posti della tavola apparecchiata, e poi si sono seduti il padre e le due signore, e mi hanno spiegato che dovevamo mangiare! in pratica la famiglia avrebbe dato la cena a tutti, ma siccome noi dovevamo rientrare, per noi era già pronto! Io pensavo che nessuno si fosse accorto neanche della mia presenza, e mi trovo un tavolo apparecchiato con un piatto pieno per me! Con un po' di fatica (cibo pesantino...) ho mandato giù tutto, ancora incredula di trovarmi in una situazione così assurda....il tutto di fianco alla finta bara, con le foto del morto, e la gente che pregava urlando le litanie funebri!

Vabè, domani parto per 4 giorni di "recorrido", cioè la visita comunitaria in alcuni villaggi che non riescono ad accedere all'ospedale, e così ogni mese un'equipe di salute li raggiunge e porta i farmaci per le malattie più frequenti, e si raggruppano tutte le visite del mese. Io mi occuperò della parte ostetrico-ginecologica, un altro medico locale farà tutto il resto. Sono felice di poter sperimentare questa attività, che è una delle più importanti per il progetto che irene porta avanti da tanti anni, la connessione tra territorio e ospedale, in modo che ogni posto anche il piu sperduto sia sempre raggiunto da qualcuno che raccoglie informazioni su cosa succede, che problemi di salute ci sono, raccolta dati, casi da portare in ospedale, casi da inviare in ospedali più dotati. Tutto questo è possibile grazie all'ospedale di San Lorenzo (cioè irene) e al vicariato apostolico, che organizzano tutto ciò, e offrono la formazione continua dei vari operatori che lavorano in questi villaggi e che costituiscono una rete per cui ogni villaggio, anche il più lontano, può far riferimento a un centro più grande, che a sua volta riferisce all'ospedale.
Insomma, forse la mia spiegazione è confusa, ma presto saprò dire di più...per ora spero di essere all'altezza di questi 4 giorni, e di tornare sana e salva!
A presto e un abbraccio a tutti!
elisa


Ps: anche oggi ho tralasciato di raccontare i casi visti e le situazioni vissute in ospedale...mi dilungherei troppo e gli amici non medici potrebbero annoiarsi..magari più avanti, o magari a milano....vedremo!

martedì 9 novembre 2010

vacanze finite!

eccomi qui, finita la settimana di vacanza!! Ieri abbiamo ricominciato la "routine" della vita a san lorenzo, che durerá altri 20 giorni circa. sveglia 7.15, caffecito di irene, pane e marmellata, ritrovo "alla panchina" con agostino alle 7.45, taxi (ovvero macchina qualunque fermata per strada con un cenno della mano) fino all'ospedale, e si inizia, giro in reparto, ecografie, parti, le innumerevoli pazienti che arrivano da ogni dove, con un foglietto spiegazzato per irene, chiedendo i favori piú disparati, il pranzo dalle suore, le altre ecografie del pomeriggio (in appuntamento ce ne sono 6-8, ma si finisce sempre per raddoppiare perchè dopo aver visto i villaggi, e aver capito quanto ci hanno messo a venire in ospedale....non hai il coraggio di mandarle via!) un'occhiata ai lavori, che attualmente sono arrivati alla posa delle piastrelle, e poi il rientro, a piedi o in taxi a seconda dell'orario e della condizione climatica.
Il compito che ci attende giovedì è importante: la lezione sará sull'ecografia in generale, quando chiederla, a cosa serve. Arrivano un'infinitá di donne mandate a fare l'ecografia con pretese assurde, tipo sapere se è passato o no il termine (senza alcuna ecografia precedente!) e quindi approfittiamo del fatto che giovedí ci saranno anche i medici e le infermiere dei vari centri di salute sul territorio (ovvero quelli che mandano queste richieste assurde) per spiegare bene l'utilizzo degli esami...speriamo che si chiariscano un po' di dubbi!
Per il resto, circa la settimana di vacanza, avrei mille cose da raccontare, ma non posso permettermelo...riempirei troppe pagine! Mi limito a dire che immergersi nel mondo della sierra, tra grandi altezze, vulcani, indigeni coloratissimi, è stato come fare un viaggio nel viaggio. Il mondo degli indios non ha nulla a che vedere con quello degli afro, tra cui sono ora. Sono popoli dalle origini culturali diversissime, i primi nati e cresciuti qui, sulle ande, e che hanno lottato strenuamente per non essere spazzati via dai conquistadores, mantenendo le loro tradizioni millenarie, e la loro dignitá. I secondi sono invece stati sradicati dalla loro area d'origine, importati qui, e qui hanno ricostruito un mondo a loro misura, ma anche loro hanno lottato strenuamente per difendere le proprie radici, e seppur inseriti in un contesto che originariamente non era il loro, ora sono piú che padroni della propria identitá culturale, come afro ecuatoriani.
Gli indios mi hanno davvero affascinato, con le loro musiche, i loro costumi, la loro malinconia, e l'impegno per non perdere mai la propria storia.
Ma ora sono tornata qui! questo viaggio mi ha lasciato tanti ricordi, e un problemino..che solitamente viene definito poeticamente "del viaggiatore"....per cui oggi le suore mi hanno costretto a bere mezzo litro di acqua di cocco (quel liquido dolce che c'è dentro la noce di cocco) perchè è come una soluzione reidratante naturale...! Scene di vita quotidiana!

Irene è a Quito per degli impegni diplomatici-amministrativi che riguardano il progetto, quindi domani per la prima volta in 29 anni mi sveglieró tutta sola il giorno del mio compleanno...che malinconia!  Pensatemi!!

Baci da elisa, quasi 29enne! (presto le foto!)

martedì 2 novembre 2010

giro di boa

E' passato un mese dall'arrivo in ecuador. E mi sono accorta che è già passata una settimana dal mio ultimo post...e mi sono trovata a chiedermi perchè?! cos'è successo in questi giorni, di così importante da impedirmi di scrivere? in realtà non ho trovato una risposta, non è successo niente di eclatante, ma la quotidianità di qui, che è diventata sempre più parte di me, mi ha completamente distratto e rapito, e i giorni sono volati senza il tempo di scrivere.
Ci sono momenti che non sono così importanti da dedicargli un intero post, ma che sommati uno dopo l'altro, e l'altro ancora, costituiscono quel qualcosa che mi renderà estremamente difficile staccarmi da questo posto.
Può essere un momento di chiacchiera davanti a un frullato di papaya con dei colleghi, che scopro così lontani ma così vicini, un momento di confronto con i padri della missione, che mi restituisce il senso di "perchè venire a san lorenzo", e cosa può lasciare questa esperienza alla mia vità quotidiana in italia, oppure assistere un parto, uno come tanti, di quelli che ne hai visti a bizzeffe, ma stavolta tocca a te e devi mettercela tutta, oppure può essere una scorpacciata di gamberi con una bella birra fresca, incontrare per la strada qualcuno che si conosce, e salutarsi come se ci si conoscesse da sempre....o che altro.....la quotidiana testimonianza di irene che ogni giorno mi mostra un modo diverso di vivere questo lavoro, e che spero dia frutto anche nella mia realtà di tutti i giorni, oppure anche la partecipazione all'avanzamento dei lavori del nuovo reparto di maternità, che è forse uno dei contributi più impegnativi e di responsabilità, una delle sfide più grandi di questo progetto, anche se può sembrare semplice dire "costruiamo un ospedale"! Tra tutte queste cose che renderanno difficile il distacco ci sono di sicuro la gratitudine e l'interesse del personale per le lezioni di formazione, le domande e la curiosità che mostrano un desiderio di imparare e di crescere, l'impegno delle suore che lavorano in ospedale che ce la mettono tutta per sostituire un insufficiente servizio sociale, prendendosi carico dei casi disperati, quelli che altrimenti rimarrebbero senza alcuna tutela e alcuna possibilità di giustizia, e che a volte ci chiedono aiuto perchè tutto ciò va al di là delle loro competenze, anche se fanno già molto piu di quello che è umanamente possibile. Avrei tanti altri esempi, ma tante cose devono ancora sedimentare. E forse non ho ancora tutta questa voglia di pensare davvero al momento in cui dovrò fare le valigie.
Per ora mi godo questi giorni di vacanza, da ieri, una settimana in giro per i luoghi più caratteristici dell'ecuador, e finalmente si può dormire un po'! irene dorme già alla grande, per la prima volta sono io quella che tiene acceso il computer!!
Ma voi lo sapevate che in Ecuador si mangia da dio!!?? temo che tornerò ingrassata....qui è un continuo provare specialità locali, buonissime, fare una settimana di dieta al mio ritorno, ma per ora me le godo tutte!
buonanotte e a presto
elisa (domani alle terme di papallacta)

lunedì 25 ottobre 2010

due giorni lungo il fiume onzole

Sabato e Domenica abbiamo avuto la fortuna di accompagnare un padre missionario che avrebbe risalito una parte del Rio Onzole per raggiungere alcune comunità e celebrare la messa, o un momento di preghiera. Irene conosce bene quelle realtà perché per 10 anni ha lavorato proprio in quella zona, prima di impegnarsi nel progetto di San Lorenzo, e ha percorso il fiume più e più volte con l’equipe di salute per creare la rete di assistenza del materno-infantile.
Le ore di navigazione che abbiamo trascorso mi sono servite per pensare a un sacco di cose, forse la barca concilia la riflessione! Pensavo a quanto è variegata e originale l’umanità….qui è normale che un bambino di 5 anni prenda una canoa tutto solo per andare a scuola….o a lavare i panni al fiume…io non ci saprei stare neanche adesso in piedi sulla canoa! Certo, lui non saprà andare in bicicletta, e gli sembrerebbero strane cose che da noi sono assolutamente normali….quante realtà diverse e originali esisteranno in giro per il mondo??!!
Il primo “sbarco” è stato per salutare una famiglia che vive in una specie di fattoria con 8 figli, una femmina e sette maschi. I maschi sono tutti portatori di handicap, facile pensare a qualcosa di ereditario legato al sesso. La madre di questi ragazzi, oltre ad avere una tempra invidiabile, e oltre a occuparsi di 7 figli disabili, è impegnatissima nel tenere corsi per sensibilizzare le donne a combattere la violenza domestica, tiene corsi sui diritti, sulla prevenzione degli abusi, tutte cose che forse a noi appaiono scontate, ma qui sono segno di grande apertura mentale e voglia di impegnarsi per migliorare la propria società, non sono tante le persone sensibili a questi temi.

I vari villaggi che abbiamo visitato (tra l’altro prendendo un sacco di pioggia, in barca!!) sono formati da due etnie differenti, che si rispettano molto tra di loro, ma non si mischiano. Ci sono gli afro, discendenti degli schiavi neri, e sembra di stare effettivamente in africa, se non fosse per la musica latino americana e la lingua spagnola, e poi ci sono i chachi (che si pronuncia ciaci) che hanno i tratti somatici dell’asia, direi che sembrano cambogiani, molto riservati, taciturni, molto più disciplinati e fedeli…sarà anche per questo che non si mischiano! In tutti questi villaggi, il filo conduttore è il fiume, la vita che scorre coi ritmi della natura, e con la presenza del fiume che regola tutto, i bambini raccolgono l’acqua nelle taniche e la riportano a casa, le bambine lavano i vestiti, tutti si lavano nel fiume, si trasportano assi di legno (principale fonte di sostentamento) a mo’ di zattera per venderle in paese, al mattino non è strano vedere qualcuno con lo spazzolino da denti in mano che scende al fiume a lavarsi!
Abbiamo cenato e dormito a San Francisco de Onzole, a 3 ore di barca da dove siamo partiti, villaggio in cui era andata via la corrente verso le 18 (proprio quando serviva!) dormendo in una sorta di zanzariera a forma di parallelepipedo, sopra un materassino appoggiato per terra, così da tenere fuori animali di ogni genere, ed è stata una notte davvero riposante!
L’indomani abbiamo risalito ulteriormente il fiume, peccato fosse molto secco, così che spesso la barca si incagliava sul fondale. Allora il motorista ha preferito prendere in prestito una barca ancora più piccola e stretta, tipo buccia di banana come forma, che non era molto adatta al motore, e mentre andavamo ondeggiava vertiginosamente a destra e a sinistra, sfiorando l’acqua col bordo ogni volta…chi soffre il mal di mare non sarebbe arrivato sano!
Per ovviare al problema della secca, abbiamo anche preso un “puntero”, ovvero un tipo che stava in piedi sulla punta della barca, con non so quale equilibrio, e diceva al motorista dove andare, spingeva la barca col remo, e nei momenti peggiori scendeva in acqua e ci trascinava….ero ovviamente allibita!
Dopo altre 2 ore di fiume, abbiamo raggiunto Colòn, un villaggio afro, dove il padre ha celebrato la messa, e appena finito il rito tutti si sono fatti sotto con irene chiedendo cosa fare per quello che ha male al piede, guarda mio figlio ha la mano così, mia sorella ha la gastrite, mia cugina è incinta, non è che avete dietro qualche medicina? E irene con gentilezza ha dato retta quasi a tutti, e poi ha rimandato il tutto dicendo che a breve arriverà il recorrido con tutti i farmaci! In pratica la chiesa si è trasformata in un ambulatorio improvvisato!
A noi sembrava di aver visto abbastanza, e invece il padre l’indomani sarebbe tornato lì, per addentrarsi nella foresta per 4 ore a cavallo, per raggiungere delle comunità ancora più lontane, che attendevano il suo arrivo.
Quando si dice andare in capo al mondo…..
Come concludere…..questi due giorni sono stati una boccata d’aria fresca, mi sono immersa nell’allegria e nella semplicità di questi ritmi di vita, e forse ho compreso ancora meglio il senso della nostra presenza qui come progetto di gemellaggio, che come ho già detto non è tanto l’ospedale in sé, ma l’opportunità che l’ospedale rappresenta per queste comunità fuori dal mondo e fuori dal tempo.

A presto!