giovedì 2 dicembre 2010

Parti podalici e lezioni di vita

Il tempo vola, Agostino è partito, e questo segna un po’ l’avvicinarsi del termine della mia esperienza.
Questa settimana in ospedale è stata carica di eventi, casi clinici interessanti, spesso drammatici, ma anche casi risolti con grande succeso, rispetto alla scarsità di mezzi.
Solo per fare un esempio, alcuni giorni fa si era presentata in ospedale una donna dell’etnia chachi a termine di gravidanza, con un bambino podalico. Le abbiamo spiegato che bisognava fare il cesareo, e lei ci ha guardato terrorizzata, e ha detto che non poteva assolutamente! Secondo le loro regole avrebbe dovuto chiedere il permesso alle famiglie, soprattutto alla suocera! Morale, nonostante le fosse stato spiegato che partorire a casa poteva comportare la morte del neonato (nella cultura chachi il parto non è assistito dalla partera, ma dalla madre della paziente, che non ha alcuna competenza..in pratica il bambino nasce da solo) la coppia è tornata al proprio villaggio per consultare le famiglie sul da farsi. Le famiglie hanno dato l’ok per il cesareo, ma solo quando si fossero presentati i dolori.
Peccato che al sesto figlio….aspetta i dolori, aspetta il carro che ti porta in ospedale…la piccola chachi è arrivata da noi col sederino del bimbo proprio “lì”! Irene ha assistito il parto nella baraonda generale, la signora urlava disperata (ormai nella sua mente c’era “no cesareo = bambino muore”) , i parenti fuori erano agitatissimi (e un po’ gli stava pure bene!) ma poi la bambina poi si è ripresa alla grande, nonostante il parto complicato.
Che sospiro di sollievo!

Nel susseguirsi dei giorni e del lavoro che riserva sempre grandi sorprese, c’è stato un episodio degno di essere ricordato, un episodio che porterò sempre come esempio quando parlerò di questa popolazione.
Settimana scorsa i “portinai” dell’ospedale, cioè quelli che organizzano l’accesso delle pazienti agli ambulatori, e il responsabile della manutenzione, ci hanno organizzato un pranzo a sorpresa. Hanno fatto preparare, e ci hanno servito, delle prelibatezze locali, gamberi, pesce, tutto di ottima qualità, per salutarci prima che Agostino partisse.
Da notare che il fatto che una donna sia servita da un uomo, nella cultura di qui, è una cosa molto forte. Il tutto condito dal solito sorriso con cui ci hanno accompagnato in questi due mesi. Dopo qualche battuta, qualche scherzo, uno di loro ha preso la parola e ha fatto un discorso intenso, appassionato, che non mi aspettavo.
In poche parole il succo era questo.
Con quel pranzo ci mostravano la gratitudine per quello che siamo venuti a fare qui, ringraziavano noi e tutto il progetto. Loro sanno che la loro gente, i neri, sono difficili, problematici, e forse molte delle persone che abbiamo aiutato non ci hanno neanche detto grazie.
E allora ecco che lo facevano loro, ci ringraziavano a nome del loro popolo per quello che abbiamo condiviso, e si dicevano fieri e orgogliosi di mostrarci che la gente afro è capace anche di ringraziare, che non è passato inosservato l’impegno nell’appoggiarli nelle loro necessità principali, tra cui la salute.
Spesso dei medici che vengono da fuori, nell’arrivare a San Lorenzo, si lamentano, chiedono di andare via, se ne rimangono chiusi sulle loro. Ci ringraziavano anche per esserci lasciati avvicinare, per aver accettato la situazione per quella che è, e per esserci impegnati come potevamo.
Mi sono sentita commossa, e inadeguata a un’attenzione del genere. Eppure loro erano lì a dirci grazie dandoci tutto il loro affetto, sottoforma di pranzo a base di frutti di mare.
Mi hanno dato una lezione che non dimenticherò.
In quel momento sono rimasta senza parole, e non in senso figurato. Per fortuna Agostino ha un discorso pronto per ogni occasione, ed è riuscito, pur colpito quanto me, a dire delle cose di senso compiuto che io non avrei mai saputo dire. Il succo del suo discorso è stato “pensavo di venire qui ad aiutare questa realtà, ma alla fine è più quello che ho ricevuto da voi rispetto a quello che ho dato!”
In effetti da piccoli i genitori ci insegnano “come si dice?” “Grazie!” ma poi, da grandi, non sempre ci si ricorda di questo piccolo grande insegnamento!
Credo che questo episodio sia importante non solo per noi che siamo qui, ma anche per tutte le persone che vicine o lontane partecipano a questo progetto, chi con una donazione, chi sopportando la nostra lontananza, chi mandando aiuti, chi coprendo i nostri turni, chi sostenendo irene e il suo impegno, quindi il ringraziamento passa a tutti quanti (anche se non posso portarvi quei gamberi deliziosi!)
Niente va perduto, niente passa inosservato.
Un grazie di cuore a tutti, da parte della popolazione di San Lorenzo.

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